Ci sono due modi di sentire la solitudine: sentirsi soli al
mondo o avvertire la solitudine del mondo. Chi si sente solo vive un
dramma puramente individuale; il sentimento dell’abbandono può
sopraggiungere anche in una splendida cornice naturale. In tal caso
interessa unicamente la propria inquietudine. Sentirti proiettato e
sospeso in questo mondo, incapace di adattarti ad esso, consumato in te
stesso, distrutto dalle tue deficienze o esaltazioni, tormentato dalle
tue insufficienze, indifferente agli aspetti esteriori – luminosi o
cupi che siano –, rimanendo nel tuo dramma interiore: ecco ciò che
significa la solitudine individuale. Il sentimento di solitudine
cosmica deriva invece non tanto da un tormento puramente soggettivo,
quanto piuttosto dalla sensazione di abbandono di questo mondo, dal
sentimento di un nulla esteriore. Come se il mondo avesse perduto di
colpo il suo splendore per raffigurare la monotonia essenziale di un
cimitero. Sono in molti a sentirsi torturati dalla visione di un mondo
derelitto, irrimediabilmente abbandonato ad una solitudine glaciale,
che neppure i deboli riflessi di un chiarore crepuscolare riescono a
raggiungere. Chi sono dunque i più infelici: coloro che sentono la
solitudine in se stessi o coloro che la sentono all’esterno?
Impossibile rispondere. E poi, perché dovrei darmi la pena di stabilire
una gerarchia della solitudine? Essere solo non è già abbastanza?
—
Emil Cioran, Al culmine della disperazione
+black.milk+
for scratch you, deep...
mercoledì 14 novembre 2012
Violently
Osceno e sacro l’amore delibera
stessa sede per sé e per gli escrementi.
Se non mi leghi io non sarò mai libera,
né casta mai se tu non mi violenti.
(P. Valduga)
stessa sede per sé e per gli escrementi.
Se non mi leghi io non sarò mai libera,
né casta mai se tu non mi violenti.
(P. Valduga)
giovedì 12 luglio 2012
Lente
Quando te ne vai,
ti lasci dietro un te invisibile
incollato alle cose più piccole:
un capello sul cuscino,
uno sguardo impigliato
nelle corde del desiderio,
una traccia di saliva
sull’angolo del divano,
una molecola di tenerezza
nel piatto della doccia.
Non è difficile trovarti:
l’amore mi fa da lente.
Gemma Gorga
@photo: Germaine Krull - Portrait de Lizica Codreanu
lunedì 9 luglio 2012
martedì 26 giugno 2012
già lo conosco...
La bellezza della natura suscita in me questo
sentimento; un sentimento non so se di gioia, di tristezza, di speranza,
di disperazione, di dolore o di piacere. E quando arrivo a questo
sentimento, mi fermo. Già lo conosco, non cerco di sciogliere il nodo,
ma mi accontento di questa oscillazione. (Lev Tolstoj)
venerdì 15 giugno 2012
cuoci il tuo cibo sul fuoco del tuo cuore
scrivi, scrivi;
se soffri, adopera il tuo dolore:
prendilo in mano, toccalo,
maneggialo come un mattone,
un martello, un chiodo,
una corda, una lama;
un utensile, insomma.
se sei pazzo, come certamente sei,
usa la tua pazzia: i fantasmi
che affollano la tua strada
usali come piume per farne materassi;
o come lenzuoli pregiati
per notti d’amore;
o come bandiere di sterminati
reggimenti di bersaglieri.
usa le allucinazioni: un
ectoplasma serve ad illuminare
un cerchio del tavolo di legno
quanto basta per scrivere una cosa egregia-
usa le elettriche fulgurazioni
di una mente malata
cuoci il tuo cibo sul fuoco del tuo cuore
insaporiscilo della tua anima piagata
l’insalata, il tuo vino
rosso come sangue, o bianco
come la linfa d’una pianta tagliata e moribonda.
usa la tua morte: la gentilezza
grafica gotica dei tuoi vermi,
le pause elette del nulla
che scandiscono le tue parole
rantolanti e cerimoniose;
usa il sudario, usa i candelabri,
e delle litanie puoi fare
un bordone alla melodia – improbabile -
delle sfere.
usa il tuo inferno totale:
scalda i moncherini del tuo nulla;
gela i tuoi ardori genitali;
con l’unghia scrivi sul tuo nulla:
a capo.
giorgio manganelli
se soffri, adopera il tuo dolore:
prendilo in mano, toccalo,
maneggialo come un mattone,
un martello, un chiodo,
una corda, una lama;
un utensile, insomma.
se sei pazzo, come certamente sei,
usa la tua pazzia: i fantasmi
che affollano la tua strada
usali come piume per farne materassi;
o come lenzuoli pregiati
per notti d’amore;
o come bandiere di sterminati
reggimenti di bersaglieri.
usa le allucinazioni: un
ectoplasma serve ad illuminare
un cerchio del tavolo di legno
quanto basta per scrivere una cosa egregia-
usa le elettriche fulgurazioni
di una mente malata
cuoci il tuo cibo sul fuoco del tuo cuore
insaporiscilo della tua anima piagata
l’insalata, il tuo vino
rosso come sangue, o bianco
come la linfa d’una pianta tagliata e moribonda.
usa la tua morte: la gentilezza
grafica gotica dei tuoi vermi,
le pause elette del nulla
che scandiscono le tue parole
rantolanti e cerimoniose;
usa il sudario, usa i candelabri,
e delle litanie puoi fare
un bordone alla melodia – improbabile -
delle sfere.
usa il tuo inferno totale:
scalda i moncherini del tuo nulla;
gela i tuoi ardori genitali;
con l’unghia scrivi sul tuo nulla:
a capo.
giorgio manganelli
domenica 20 maggio 2012
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